LEGNANESE – Per i giudici non vi sono dubbi: “Le dichiarazioni della ragazza sono risultate attendibili, in quanto circoscritte e dettagliate, genuine e spontanee”. Il suo patrigno, Vincenzo Fedele, 69enne originario di Marina di Catanzaro ma emigrato da giovane in provincia di Milano, è stato così condannato in via definita a 13 anni di carcere (è stato prelevato dai carabinieri nei scorsi giorni per essere condotto a Opera) per gli atti sessuali perpetrati sistematicamente ai suoi danni dal 2007 al 2010, “inizialmente due e tre volte alla settimana, ma poi successivamente tutti i giorni”, quando lei era poco più che una bambina.
Si chiude così una vicenda giudiziaria (l’iter processuale era iniziato nel 2016) che ha suscitato sdegno e clamore in tutto il Legnanese dove la famiglia vive da diverso tempo. La ragazza, oggi 24enne e originaria della Moldavia, avrebbe subìto gli abusi da quando aveva 11 anni. Un trauma del passato, il suo, che ha tenuto nascosto per anni. In base al suo racconto in aula, l’orrore iniziò nel settembre del 2007. Da pochi mesi lei e il fratello, di tre anni più grande e con il quale aveva vissuta fino ad allora in Moldavia con la nonna materna, si erano ricongiunti con la madre che abitava con il Fedele nel Milanese, dopo essersi sposati. L’uomo, vedovo e padre di tre figli, già grandi e oramai fuori casa, aveva accolto i due bambini come se fossero i suoi. E la piccola aveva subito manifestato un sincero affetto all’uomo diventato di fatto il suo nuovo papà, ignara che ben presto quell’iniziale serena convivenza sarebbe sprofondata in un feroce cuore di tenebre dal quale non sarebbe più riuscita a uscire per tre lunghi anni.
Il RACCONTO DELLA RAGAZZA
“Ricordo quel giorno della prima volta come se fosse ieri – ha raccontato nella sua deposizione la ragazza con la voce strozzata dal pianto – Eravamo stati in vacanza in Calabria. Pochi giorno dopo essere rientrati, io ero in casa da sola con lui, perché la mamma era al lavoro. Mi portò in camera da letto dicendomi che voleva riposare vicino a me. Mi fece sdraiare e mi chiese se avevo nozioni legate alla sessualità. Risposi ovviamente di no, avendo io solo 11 anni, ma lui mi disse che prima di frequentare la scuola in cui mi ero iscritta, avrei dovuto conoscerle. Mi disse di spogliarmi, mi abbraccio. Salì sopra di me e… “. Quell’incubo di rapporti completi durò fino al 2010. Una discesa agli inferi che per la ragazza è un calvario da ricordare e da raccontare, non solo per le violenze subite ma anche per disturbi post-traumatici da stress sviluppati subito dopo. “Per tre anni abusò di me, praticamente tutti i giorni. La mamma andava a letto molto presto perché al mattino doveva iniziare il turno al lavoro alle 6. Io non avevo una mia cameretta. Dormivo in soggiorno dove c’era la tv. E lui ogni sera mi si avvicinava ed esigeva un rapporto, altrimenti diceva che non sarebbe riuscito ad addormentarsi. Anche di giorno restavo spesso in casa sola con lui perché mio fratello usciva. Mi diceva che era normale fare certe cose e che in Italia funzionava così, ma che non era il caso di raccontarlo ad altri. Io inizialmente gli credetti come una stupida. Poi iniziai a capire che era sbagliato, ma mi vergognavo e avevo paura della reazione che avrebbe potuto avere mia madre se glielo avessi detto. Tenevo dentro di me problemi e difficoltà. Cercavo soluzioni e vie di uscita. Tentavo inutilmente di respingerlo con forza. Era insistente. Assillante. Mi faceva sentire in colpa. Fino a quando non era contento non mi lasciava stare e non mi faceva studiare. In qualche modo mi obbligava. Non sapevo cosa fare per farlo smettere. Avevo anche iniziato a ingrassare intenzionalmente perché speravo che in questo modo non avrei suscitato più alcun desiderio in lui”. Tentativi vani. In base ai racconti in aula, infatti, gli espressi rifiuti ad accondiscendere alle voglie sessuali del patrigno (“anche quando la ragazza era a letto con la febbre”) non servirono mai a nulla: gli episodi di abusi sarebbero stati tantissimi e avvenuti non solo in casa. Dalle carte processuali si scopre, infatti, che a volte il Fedele si offriva ad accompagnare a casa in auto le amiche della moglie che erano venute a trovarla. Portava dietro la ragazzina e quando rimanevano soli, la portava in un luogo isolato per soddisfare i propri desideri”.
Poi nel 2016, in seguito a un violento litigio (intervennero i carabinieri) – tra il Fedele e il fratello della ragazza, quest’ultima sporse denuncia, raccontando ai militari dell’Arma quanto sarebbe successo anni prima. Il Fedele venne così cacciato fuori di casa dalla moglie. E per mesi elesse come suo domicilio un vecchio furgone per poi trovare una casa in affitto a Passirana. Ed è qui che ha atteso per settimane la notifica per la prigione, gridando fino all’ultimo la sua innocenza e avanzando il dubbio che sia stato vittima di un complotto ordito dall’ex moglie e dei due figli per sbatterlo fuori di casa. “Vado in carcere senza aver commesso nulla – ha commentato l’uomo qualche giorno prima di essere prelevato per essere portato in carcere – Ho cresciuto i miei tre figli naturali (un maschio e due femmine, ndr) trasmettendo sempre loro i valori dell’onestà e i sani principi di integrità morale. Dopo che era morta la mia prima moglie, pensavo di avere trovato in loro una nuova famiglia. Mi sono sempre comportato bene. Ho sempre respinto con forza queste accuse false e infamanti e lo farò fino al mio ultimo respiro. Andrò in carcere da innocente. È ingiusto. Vivevamo in un bilocale e come era possibile che io potessi fare certe cose tutti i giorni e per anni senza che la mia ex moglie sentisse nulla o si accorgesse di qualcosa? La mia vita è stata distrutta da delle menzogne“.