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PARABIAGO
Vincenzo Fedele trasferito dal carcere di Opera a quello di Bollate: è stato condannato per gli abusi alla figliastra

L'uomo si è sempre dichiarato innocente e vittima di un complotto ordito dall'ex moglie e dai due figli di lei per sbatterlo fuori di casa

PARABIAGO – Dopo alcune settimane rinchiuso nel carcere di Opera, è stato trasferito all’istituto di reclusione di Bollate il 69enne Vincenzo Fedele, originario di Marina di Catanzaro ma emigrato da giovane in provincia di Milano, condannato in via definita a 13 anni di detenzione per gli atti sessuali perpetrati ai danni della figliastra.

La ragazza, oggi 24enne e originaria della Moldavia, avrebbe subìto gli abusi da quando aveva 11 anni.  In base al suo racconto in aula, infatti, le violenze sarebbero iniziate nel settembre del 2007. Da pochi mesi lei e il fratello, di tre anni più grande  e con il quale aveva vissuta fino ad allora in Moldavia con la nonna materna, si erano ricongiunti con la madre che abitava con il Fedele nel Milanese, dopo essersi sposati.  L’uomo, vedovo e padre di tre figli, già grandi e oramai fuori casa, aveva accolto i due bambini come se fossero i suoi. E la piccola aveva subito manifestato un sincero affetto all’uomo diventato di fatto il suo nuovo papà. Poi però, in base alle sue dichiarazioni, iniziò un incubo.

Il RACCONTO DELLA RAGAZZA 

Ricordo quel giorno della prima volta come se fosse ieri – ha raccontato nella sua deposizione  la ragazza con la voce strozzata dal pianto – Eravamo stati in vacanza in Calabria. Pochi giorno dopo essere rientrati, io ero in casa da sola con lui, perché la mamma era al lavoro. Mi portò in camera da letto dicendomi che voleva riposare vicino a me.  Mi fece sdraiare e mi chiese se avevo nozioni legate alla sessualità. Risposi ovviamente di no, avendo io solo 11 anni, ma lui mi disse che prima di frequentare la scuola in cui mi ero iscritta, avrei dovuto conoscerle. Mi disse di spogliarmi, mi abbraccio. Salì sopra di me e… Per tre anni abusò di me, praticamente tutti i giorni. La mamma andava a letto molto presto perché al mattino doveva iniziare il turno al lavoro alle 6. Io non avevo una mia cameretta. Dormivo in soggiorno dove c’era la tv. E lui ogni sera mi si avvicinava ed esigeva un rapporto, altrimenti diceva che non sarebbe riuscito ad addormentarsi. Anche di giorno restavo spesso in casa sola con lui perché mio fratello usciva. Mi diceva che era normale fare certe cose e che in Italia funzionava così, ma che non era il caso di raccontarlo ad altri. Io inizialmente gli credetti come una stupida. Poi iniziai a capire che era sbagliato, ma mi vergognavo e avevo paura della reazione che avrebbe potuto avere mia madre se glielo avessi detto. Tenevo dentro di me problemi e difficoltà. Cercavo soluzioni e vie di uscita. Tentavo inutilmente di respingerlo con forza. Era insistente. Assillante. In qualche modo mi obbligava. Non sapevo cosa fare per farlo smettere. Avevo anche iniziato a ingrassare intenzionalmente perché speravo che in questo modo non avrei suscitato più alcun desiderio in lui”.

In base al raconto della ragazza, le violenze si sarebbero concluse circa a maggio del 2010 quando i respingimenti fisici della ragazzina, che aveva compiuto 14 anni, si fecero sempre più decisi.

LA DENUNCIA 

Sei anni dopo e precisamente nel 2016, in seguito a un violento litigio (intervennero i carabinieri) tra il Fedele e il fratello della ragazza, quest’ultima sporse denuncia, raccontando ai militari dell’Arma quanto sarebbe successo anni prima con il patrigno. Il Fedele venne così cacciato fuori di casa dalla moglie. E per mesi elesse come suo domicilio un vecchio furgone parcheggiato a Parabiago, per poi trovare una casa in affitto a Passirana.

L’uomo ha sempre gridato la sua innocenza, avanzando il dubbio che sia stato vittima di un complotto ordito dall’ex moglie e dai due figli per sbatterlo fuori di casa. “Vado in carcere senza aver commesso nulla – aveva commentato l’uomo qualche giorno prima di essere prelevato per essere portato in carcere – Ho cresciuto i miei tre figli naturali (un maschio e due femmine, ndr) trasmettendo sempre loro i valori dell’onestà e i sani principi di integrità morale. Dopo che era morta la mia prima moglie, pensavo di avere trovato in loro una nuova famiglia. Mi sono sempre comportato bene. Ho sempre respinto con forza queste accuse false e infamanti e lo farò fino al mio ultimo respiro. Andrò in carcere da innocente. È ingiusto. Vivevamo in un bilocale e come era possibile che io potessi fare certe cose tutti i giorni e per anni senza che la mia ex moglie sentisse nulla o si accorgesse di qualcosa? La mia vita è stata distrutta da delle menzogne”.

A convincere i giudici sulla colpevolezza del Fedele – si evince dagli atti processuali – sarebbero state non solo le dichiarazioni della ragazza (ritenute “attendibili in quanto circoscritte e dettagliate, genuine e spontanee”, si legge nelle sentenze) ma anche delle telefonate registrate e uno scambio di messaggi tra lui e la stessa ragazza nonché tra lui e la sua ex moglie. Il Fedele in queste interazioni telefoniche chiede perdono per quanto ha commesso cinque anni prima. Si dichiara pentito. Supplica di dimenticare e chiede che si possa riprendere a vivere sereni, aggiungendo anche “in un messaggio alla ragazza che “lo sbaglio è stato mio ma anche tuo. Se non volevi bastava dirlo subito e tutto finiva li”.
Messaggi però che il Fedele ha cercato sempre in aula di giustificare sostenendo che si riferiva a ben altre questioni: “Parlavo di altro, precisamente mi giustificavo per aver rimproverato troppo spesso la ragazza e suo fratello. Mi scusavo per aver rivolto, sbagliando, brutti insulti alla ragazza. Ma non mi riferivo certo in alcun modo ad abusi sessuali che non ho mai commesso in tutta la mia vita”.
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