Close

ADDIO AL FONDATORE DI EMERGENCY
E’ morto Gino Strada: “Io non sono pacifista, sono semplicemente contro la guerra”

Aveva 73 anni ed era malato di cuore. Era un combattente per la pace. E' stato dalla parte degli ultimi, sempre. Per tutta la vita. 

«Io non sono pacifista, sono semplicemente contro la guerra». Gino Strada, lo ripeteva spesso. A volte ricordava anche di quando molti anni fa lo convocarono a Palazzo Chigi per discutere del dossier Afghanistan: “Tirarono fuori una cartellina con dentro quattro fogli e un reportage di Panorama. Non avevano idea di quanto stava succedendo“. E allora Gino Strada spiegò sul tavolo la mappa del Paese e iniziò a indicare le province e i nomi dei capi militari che le governavano. Amava l’Afghanistan, il dottor Strada. Lo conosceva, ci aveva vissuto per 7 anni. Ma conosceva bene qualsiasi parte del mondo martoriata da una guerra. Lui lì era sempre in prima linea. I “dannati della terra” trovavano sempre in lui un difensore strenuo e coraggioso. Più erano soli al mondo, più erano dimenticati e più lui si occupava di loro, cercava di alleviare le loro sofferenze, la loro solitudine. Era un combattente per la pace. E’ stato dalla parte degli ultimi, sempre. Per tutta la vita. 
Gino Strada è morto oggi, venerdì 13 agosto, in Normandia. Il co-fondatore di Emergency aveva 73 anni ed era malato di cuore. L’Ong — cui aveva dato vita con la moglie Teresa Sarti nel 1994 — ha costruito ospedali e posti di primo soccorso in 18 Paesi, curando 11 milioni di persone. 

Classe 1948, Gino Strada era nato a Sesto San Giovanni. Liceo classico al Carducci di Milano, dopo la laurea in medicina nel ’78 alla Statale si era specializzato in chirurgia d’urgenza: primo impiego all’ospedale di Rho, cardiochirurgia, poi chirurgia traumatologica. Pratica negli Stati Uniti, Stanford e Pittsburgh e ancora in Inghilterra e Sudafrica. Tra la fine degli anni Ottanta e il ’94 lavora con il Comitato internazionale della Croce Rossa, vola in Pakistan ed Etiopia, in Somalia e Bosnia. Durante una trasferta, diretto verso chissà quale scenario di crisi, è costretto a restare fermo a Gibuti in attesa di un visto. Sono in corso i campionati nazionali di bridge, trova un compagno, si iscrive e li vince. Poi riprende in mano il bisturi.

Ha sofferto come pochi, nella sua vita personale e nella sua esperienza di medico e di volontario. La sua è stata una vita di sofferenza per gli altri.  Ma è stata anche una vita splendida, vissuta inseguendo i propri valori, le proprie convinzioni più profonde. Una vita, la sua, piena di senso. In Afghanistan sopratutto, dove ha costruito l’ospedale di Kabul con le sue stesse mani, insieme a Kaka Hawar il suo braccio destro conosciuto nel Kurdistan iracheno. In quella stessa Kabul, ora  minacciata dai talebani, Strada era arrivato nel 1998, dopo aver lavorato con il Comitato internazionale della Croce Rossa. Raggiunge via terra il nord del Paese dove, l’anno dopo, apre il primo progetto nel Paese, un Centro chirurgico per vittime di guerra ad Anabah, oggi è diventata tra le altre cose uno dei centri maternità più rinomati del Paese dove le donne partoriscono in sicurezza. Un’oasi di pace in un Paese tormentato da una guerra infinita. Poi Strada resta in Afghanistan per circa 7 anni, operando migliaia di vittime di guerra e di mine antiuomo e contribuendo all’apertura di altri progetti nel Paese. Ma non c’era solo l’Afghanistan nel suo cuore. Anche l’Iraq, dove nel Kurdistan iracheno ha fondato una clinica di riabilitazione per le vittime di mine a Sulayamaniyya intitolata  alla prima moglie Teresa morta nel 2009 dopo una lunga malattia. Un’altra eccellenza dove sono stata salvate migliaia di vite che ha reso Emergency nota a livello internazionale.

Nel corso della sua vita sono tanti i posti dove Emergency è arrivata e le battaglie che ha combattuto. Il Sudan con il centro di cardiochirurgia di eccellenza, ma anche Ebola in Sierra Leone, fino all’ultimo ospedale pediatrico costruito in Uganda con l’amico archistar Renzo Piano.

Qualcuno si lamentava delle sue sfuriate e del suo essere troppo radicale nelle sue posizioni. Cosa rispondere se non: provate voi a essere moderati in una corsia di un reparto ospedaliero nel deserto in cui arrivano bambini con il ventre squarciato da una bomba. La sua filosofia è stata sempre quella di creare dei centri chirurgici per le vittime di guerra all’avanguardia che poi potessero essere lasciati alla popolazione locale e ai medici.  E’ sempre stato al fianco di chi combatte battaglie, sempre in prima fila alle manifestazioni contro la guerra e contro il fascismo. Con un unico obiettivo, sempre lo stesso: stare dalla parte dei meno forti. Era quella la sua ragione di vita: curare i più vulnerabili. Perché come scriveva in Pappagalli Verdi, uno dei suoi libri più belli: “Tutte le guerre sono un orrore. E che non ci si può voltare dall’altra parte, per non vedere le facce di quanti soffrono in silenzio”.

scroll to top